Articoli - Bellezza e lavoro

    di Gianni Bonini

Un tema ormai tra i piú evocati nell'attuale ricerca di una via d'uscita dalla Crisi che tuttavia presuppone una visione, come ha sottolineato Giuliano Amato al Meeting di Rimini, è la valorizzazione della nostra Tradizione e dei nostri Beni Culturali in chiave di modernità.

Se fino a poco tempo fa era una questione di "nicchia" ormai è diventata sensibilità diffusa a livello di massa. Ne è la riprova il crescente inarrestabile successo delle città d'arte, Firenze e Venezia in primis, che sostituisce in maniera diffusa un vecchio modello sviluppatosi nel dopoguerra e con il boom economico, centrato sulle località balneari, che quest'anno sono state ben lontane dal tutto esaurito, non solo ma va affermandosi anche come status symbol alternativo alla dimensione meramente ludica e un pó cafona dei tanti Billionaire. Firenze, secondo i dati tratti da un articolo di Francesca Colombo, brava sovrintendente del Maggio Fiorentino, rispetto al 2007 nel 2010 segna un + 13,7% di arrivi e un + 9,6% di presenze con i pernottamenti. Marina Valensise sul Foglio parlando di Cuma, culla di una delle leggende storiche fondanti la nostra Tradizione, quella della Sibilla Cumana da cui Enea, i Libri Sibillini e così via, esprimeva lo sconcerto dello stato di solitudine di uno dei luoghi piú affascinanti del Mondo e ne auspicava la riscoperta ed il rilancio anche in chiave turistico-culturale. Io credo che oggi abbiamo tutte le possibilità scientifiche e tecnologiche per realizzare questo auspicio.

Invece di fare i pierini sull'operazione Colosseo portata avanti da Della Valle, consiglio di cogliere appieno l'ispirazione ad una nuova forma di mecenatismo/sponsorizzazione che gli inventori della Tod's hanno intelligentemente reso operativa, pur in mancanza, ma è da trent'anni che manca, di un quadro legislativo-normativo incentivante che si trascina dalla Formica-Scotti della metà degli anni 80, governo Craxi, passando per la Melandri, che promuova gli investimenti nei beni culturali. E se Della Valle da abilissimo e lungimirante imprenditore è andato avanti nonostante tutto, saccenti accademici compresi, vuol dire che ha valutato anche i termini economici di lungo periodo i vantaggi che un'operazione di immagine di questa portata gli avrebbe garantito. Ed ha ragione da vendere.

Così come oggi il Pil in termini puramente numerici è considerato un indicatore parziale ed anche senza escogitare parametri troppo "alternativi", non vi è dubbio che gli investimenti nel Bello, sia esso religioso o secolarizzato, garantiscono una redditività che nessuna copertura della Fed o della Bce potrà mai lontanamente raggiungere. È questa una delle alternative vere ed immediatamente praticabili per ritrovare una "via italiana allo sviluppo" senza bisogno di andare a Pontida come Tremonti o la Brambilla. Sono risorse naturali, giacimenti di inestimabile valore che abbiamo in casa, che ci rendono indipendenti dall'estero, anche perché non vedo oggi le condizioni per un nuovo Mattei, in nessun campo della competizione globale. Tutt'altro. Oppure si pensa, tutto è possibile in un'epoca di banalità diffusa, che l'egemonia della nostra lingua nel 700 o quella della nostra musica fino a Puccini si reggesse su chissà quale forza militare od economica.

È la straordinaria forza della nostra Tradizione, delle nostre strutture culturali e civili forgiate attraverso l'esperienza etrusco-romana e della Magna Grecia, che hanno attraversato, talvolta con percorsi carsici, l'Alto Medioevo, per riemergere pienamente nello splendore dell'età dei comuni e poi con il Rinascimento ed il meraviglioso Barocco, ad averci dato la teologia della costruzione unitaria pur tra mille contraddizioni ed iniquità. È questa stessa Tradizione imperniata su un' idea della Bellezza da sempre coniugata con il Lavoro, la cui creatività tanta piú eccelle quanta più è pervasa dallo sforzo di servire la crescita della persona, dell'Uomo, come immagine divina, ad averci donato la forma mentis del Made in Italy. Oppure pensiamo che quest'ultima interpretazione economica e produttiva della modernità che ci fa ancora qualche volta primeggiare nel pianeta globalizzato sia frutto di non so quale scimmiottamento di modelli importati/imposti dopo Bretton Woods. La parabola del cinema italiano è da questo punto di vista esemplare. Quando abbiamo abbandonato i canoni della commedia dell'arte che non va confusa con una mera comicità, finiti le Cecchi D'Amico, gli Age e Scarpelli, i Risi, i Fellini ed i Monicelli, per non parlare dei mille artigiani dello spettacolo e della straordinaria lezione fotografica dell'Istituto Luce, per adottare modelli di nevrosi postsessantottine e di sceneggiature politicamente corrette che non appartengono, grazie a Dio, alla sensibilità del popolo e nemmeno della "ggente", abbiamo vinto solo il favore delle torri d'avorio della critica, quasi sempre inversamente proporzionale agli incassi del botteghino.

È vero che non c'è piú il Piano Marshall ma è anche vero che questa merce, salvo rare eccezioni, sarebbe stata invendibile anche in regime di stretto monopolio di tipo sovietico. Torniamo dunque a "fare" quello per cui abbiamo creato una civiltà unica ed irraggiungibile e cioè a trovare nel Lavoro la creativa espressione della libertà dell'Uomo, liberandoci il piú possibile della tenaglia con cui fordismo e consumismo ci hanno costretto a recitare spesso un ruolo oggettivamente servile, strapazzato dai venti incontrollabili di una Finanza che non di rado assume le vesti dell'usura per dimenticare la sua funzione di ancella della produzione di beni. È questo lo spirito che rese possibile il grande salto degli anni 50/60 e la nostra ricostruzione dopo le macerie della guerra che aveva attraversato l'Italia. E di questo spirito, di questa visione del Lavoro, Firenze ne è forse l'esempio piú eclatante. Lo spiega bene Mariella Carlotti in uno splendido catalogo per chiarezza di esposizione e di contenuti, che ha accompagnato un paio di anni fa una mostra allestita al Meeting di Rimini sul ciclo delle formelle del Campanile di Giotto.

Bellezza e Lavoro sono qui al servizio di una concezione antropologica nuova che non è estetismo sterile nè tanto meno maledizione da cui liberarsi, come ci ricorda Vittadini nella sua prefazione. I fiorentini usi a passare di lì distrattamente, farebbero bene a fermarsi ed a riconoscersi. Del resto Firenze fu "citta nova" per eccellenza, non avendo un grande passato nè etrusco nè romano quando agli albori del nuovo millennio cominciò la sua rapida ascesa nell'Europa romano-barbarica e fu la forza e la laboriosità della sua gente, con una g sola, a costruire quel destino che l'ha resa "città del mondo". Un progetto di valorizzazione della nostra Storia e Tradizione, intesa come "saggezza che nasce dal riconoscimento dell'eredità civile" - "wisdom of inheritance" l'hanno definita i Chieftains, il Gruppo irlandese massima espressione internazionale della musica tradizionale, per non confonderla con un Tradizionalismo velleitario e reazionario - deve partire da questo approccio in chiave direi politicamente alta, se non vuole arenarsi subito in un estetismo accademico ed elitario e in un'azione priva di punti di riferimento utili a misurare l'impatto con la conoscenza e la formazione di massa. Un pò come le mostre di oggi, sicuramente lodevoli, ma che non hanno mai dietro un progetto politico-culturale di respiro. È una vecchia polemica questa, che mi oppose negli anni 80, gli anni rutilanti delle mostre-evento in cui nel tempo opulento prima dei patti di stabilità si tenevano esposizioni-eventi di grande successo mediatico, anche al mio vecchio amico Sergio Salvi, grande conoscitore dell'arte e del mercato, direttore di un Centro Mostre fiorentino che ha segnato la stagione d'oro degli Assessorati alla Cultura del nostro Paese.

Oggi, senza nulla togliere, anzi sottolineando il riconoscimento di quell'esperienza ricca di stimoli e soprattutto aliena dal provincialismo, sono ancora piú convinto che qualsiasi progetto di formazione e di recupero/restauro debba muoversi avendo alle spalle qualcosa di piú di una strategia pianificatoria economico-culturale, una teologia appunto della Bellezza non fine a se stessa ma, come nel nostro caso, capace di rianimare una diversa antropologia del Lavoro e della Società. Se non c'è questa intelligenza, chiara e visibile, è inutile affannarci nella ricerca di sponsor che ballano una sola estate oppure agitare grottescamente un dirigismo culturale per mecenati che non abboccano. La costituzione di una Fondazione per la Tradizione Fiorentina, che non sia la replica della missione dell'Ente Cassa di Risparmio nè delle attività di promozione turistica sul tipo del Calcio in costume per intenderci, potrebbe aggregare soggetti industriali e finanziari nuovi interessati ad investire sul lungo periodo sul marchio della città, con un business plan prudente e graduato, con una particolare attenzione però da subito sull'azione di marketing da svolgere attraverso la capillare articolazione di contatti con i media di tutto il mondo. Perché produce di piú un fotogramma del Ponte Vecchio in uno spot pubblicitario di tante partecipazioni burocratiche senza anima alle varie Borse turistiche, quello sì uno spreco da tagliare. Pensate alla fortuna del Mulino Bianco nelle colline metallifere a Monticiano, al tempo dello spot Barilla, visitato da folle di turisti ammaliati dalla finzione ecologica che aveva proiettato e come oggi lo stesso luogo sia ormai purtroppo reintegrato nel destino incerto di un'area che solo ora comincia a misurare i problemi derivati dalla cessazione delle attività estrattive, vero patrimonio storico toscano non surrogabile con gli agriturismi e qualche museo si buona volontà. Esistono del resto a Firenze strumenti capaci di centrare questo obiettivo e che praticano questa filosofia d'azione.

Penso alla Toscana Film Commission che sta svolgendo bene il suo compito di marketing storico e territoriale, ma penso anche alle tante istituzioni private internazionali, che sono la vera ricchezza della città, che ne vivono lo spirito piú di tanti politici e che rappresentano un vero e proprio canale mediatico nei confronti del mondo. Non si tratta dunque di mettere su l'ennesimo carrozzone pubblico-privato che sotto la copertura di qualche parola magica, tipo project financing, drena risorse pubbliche che peraltro non ci sono piú, ma un'Agenzia leggera dotata di uno staff minimo composto di competenze storico-manageriali che sviluppa, avvalendosi di professionalità adeguate - un nome su tutti, Franco Cardini sarebbe ben lieto di occuparsi di Tradizione fiorentina - e di sinergie opportune come quella che ho prima ricordato con Toscana Film Commission, un progetto di grande respiro nei temi e nei tempi che afferisce la storia di Firenze ed il suo genius loci, cioè a mio avviso, il binomio imprescindibile di Bellezza e Lavoro che ne ha accompagnato l'affermazione in tutti i campi del sapere umano. Da qui discende la scelta degli investimenti e delle cose da fare, si tratti di un evento espositivo oppure di un'iniziativa di restauro e manutenzione del patrimonio.

Le sinergie possibili le presenze culturali e civili esistenti in città, sono immense. Dai francescani di S. Croce e di Città di Vita, stupenda rivista, a quelli dell'Immacolata che presidiano Ognissanti e lo stupefacente Crocifisso di Giotto, dal Bargello a nuova vita restituito da una direttrice appassionata ed intraprendente che interpreta al meglio il proprio compito al Museo della città in Sant'Egidio, fino all'Accademia dei Georgofili, un vanto per Firenze, ma la cui prolificità scientifica non conosce nemmeno lontanamente l'audience che meriterebbe. Sono soltanto alcuni esempi. Vi è in piú un'emergenza come quella di dare razionalità alle funzioni del centro storico ora che Novoli si candida a diventare la down town dell'area metropolitana. Lo sforzo fatto finora che ha prodotto quei numeri prima citati rischia di vanificarsi se non diamo continuità al valore della Tradizione fiorentina, che è quello che i flussi turistici del vecchio continente come dei nuovi paesi emergenti, cercano e vogliono trovare e cioè una Civiltà universale. Cullarci unidimensionalmente in una sorta di Disneyland del Rinascimento sarebbe un giuoco pericoloso e dal fiato corto. In questo senso Florence 2010 è stato un tentativo di successo che ha indicato una strada maestra, che scava nella storia per stimolare una creatività attualizzata, nuovi livelli di sapere e nuove occasioni di lavoro, una scintilla che ha l'ambizione di attizzare fuochi di impegno economico e scientifico, anche di fronte ad una crisi dell'Università che non sembra arrestarsi. Ecco allora che il vecchio centro dentro la cerchia dei viali del Poggi puó richiamare nuovi inquilini, ma anche nuove attività scientifiche ed artigianali, eredi appunto di una Tradizione che dobbiamo smettere di guardare solo attraverso il prisma deformante dell'irriducibile nostalgia scatenata dai vecchi film o dalle fotografie della Firenze com'era, anche perché non è vero che "si stava meglio quando si stava peggio" sotto il profilo delle mere condizioni fisiche di vita.

Occorre quindi riprendere l'ispirazione di Florence 2010 e darle spessore teologico e continuità d'azione. Insomma da un'idea-forza come quella rappresentata dalla visione antropologica del nesso inscindibile di Bellezza e Lavoro puó nascere un bel progetto per Firenze e la sua economia, qualcosa che cresce con la consapevolezza politica che si può rilanciarsi solo recuperando il senso profondo dello spirito universale che i nostri avi hanno coltivato. Dopo di che vanno benissimo anche gli Hardrock Caffè, non ci mancherebbe altro, al posto di un Gambrinus che era un relitto già alla fine degli anni 60. Ci sono gli imprenditori/nuovi mecenati/sponsor per sostenere questo disegno? Personalmente sono ottimista se riusciamo a presentare un progetto credibile, senza dare l'impressione, come quasi sempre danno gli enti locali, di un atteggiamento "mordi e fuggi" volto a soddisfare le aspirazioni, legittime per carità, alla "rielezione". A partire da un primo nucleo qualificato, e qui non faccio nomi per rispetto, che abbia la voglia di fare qualcosa di nuovo, che non rende dividendi immediati ma il cui mark to market si misura su tempi lunghi e come un valore aggiunto che viviamo nella nostra vita di ogni giorno come imprenditori, manager, uomini di finanza, semplici cittadini che hanno a cuore un nuova antropologia ed una nuova città sul monte.

Gianni Bonini
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